Bibl.: «L’altra Europa», Lungro (CS), III (1991), N. 1-2/9, p. 68
 

Giovanni Armillotta
LE (E)LEZIONI ALBANESI...

All’indomani delle libere elezioni in Albania – che hanno confermato al potere il Partito del Lavoro (comunista) – si è udito e letto da più parti la frase: «esito inaspettato». La mancanza di un serio studio della storia albanese – per anni recitata a memoria su disinformazioni e preconcetti – giustifica simili commenti.
Il PLA è stato fondato in circostanze differenti rispetto agli altri partiti comunisti dell’Est e dell’Ovest, pedissequi portavoci del Cremlino, e formatisi in seguito all’unione – quasi sempre forzata – con socialisti, socialdemocratici, ecc. (ex Germania Democratica, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania). Esso è stato costituito su un terreno vergine, in cui non esistevano altre forze politiche rappresentanti strati della società operaia, contadina o borghese. Il PLA (allora Partito Comunista) si gettò nella lotta, determinato a creare uno stato nuovo, alternativo alla struttura feudale (imposta dall’imperialismo di Belgrado prima, e fascista poi), sostenuta all’interno – nel corso della guerra – dai nazionalisti del Balli Kombëtar e dai monarchici del Legaliteti.
L’Albania fu l’unico Paese europeo a portare avanti la lotta di liberazione senza l’aiuto sovietico o anglo-statunitense. Il PCA facendo leva sui contadini, in una realtà dove praticamente non esistevano industrie ed era esigua la classe operaia, è stato artefice del processo d’indipendenza, riconosciutogli dalla diplomazia internazionale. La stessa Europa libera, come fu grata a Skanderbeg (solo contro i Turchi) non può che esserlo ancora verso  questo piccolo Paese che rifiutò recisamente basi operative e strategiche all’URSS.
Sin dopo la Liberazione si presentò il pericolo dell’espansionismo granserbo, per cui fu giocoforza optare per la scelta "stalinista". La scomunica di Tito nel ’48 fu un mezzo usato dagli Albanesi per contenere il progetto di "settima repubblica" jugoslava. Di conseguenza il recente abbattimento a Tirana della statua del dittatore georgiano è volontà del Popolo albanese e non certo frutto delle decisioni sovietiche, come avvenne nel ’56-57 negli Stati satelliti (dove il precedente ungherese venne soffocato nel sangue dal "buon" Chrušcëv).
L’autonomia degli Albanesi la si riscontrò vieppiù nel corso dell’invasione della Cecoslovacchia: il PLA stigmatizzò nelle parole e nei fatti (uscita anche formale dal Patto di Varsavia) il barbaro atto sovietico, in un periodo in cui i partiti comunisti occidentali confermavano fedeltà a Mosca.
Nel 1989 la dirigenza albanese condannò duramente le stragi di piazza Tiananman, mentre Gorbacëv e compagni non battevano ciglio.
Le clamorose bocciature nei distretti elettorali del presidente Ramiz Alia e di vari ministri, sono la prova concreta che nell’elettore albanese non c’è più spazio per dogmi o sorpassati legami col marxismo-leninismo, bensì il tradizionale patriottismo e la speranza di creare condizioni per una vita migliore e prospera, priva di pericolosi entusiasmi e avventati salti nel buio.
La nascita dei partiti Democratico e Repubblicano indica chiaramente quanto di valido possa esprimere la democrazia albanese, nel momento stesso in cui si prendano come punto di riferimento l’Europa, ed i suoi ultramillenari vincoli con il Paese delle Aquile.

 

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© Giovanni Armillotta, 1998