"METODO", N. 19/2003

Enrico Galoppini
(Collaboratore di “Limes”, Rivista Italiana di Geopolitica)
IRAQ: PONZIO PILATO, IL MODELLO PER LA “SINISTRA”

In questi giorni di indecoroso ‘toto-Iraq’ [primi di ottobre 2002], con gli angloamericani alla ricerca del sospirato casus belli che dovrebbe servire loro a pulirsi preventivamente la coscienza in vista dell’ennesima guerra, a voler dare importanza al baccano suscitato dalle prese di posizione delle varie camarille politiche sull’imminente apocalisse irachena ci si potrebbe anche illudere di vivere in un Paese libero e indipendente.
Che cosa ci sta a fare sennò il circo della politica? C’è chi se la prende, tanto per cambiare, con Berlusconi, chi si mette la molletta al naso e risponde al padrone angloamericano “obbedisco” per “onorare l’alleanza”, chi non ci sta a tirare bombe in capo agli iracheni prima che l’Onu li tolga d’imbarazzo con la mitica risoluzione, chi chiama a raccolta legioni d’innocui pacifondai e, naturalmente, chi ci prova sinceramente gusto all’idea di far fuori un po’ d’arabi per raccattare qualche briciola alla mensa del re.
A farsi incantare da questi fuochi fatui, sembrerebbe proprio di vivere in un Paese che prende decisioni importanti, da libro di Storia.
Ma per prendere delle decisioni in autonomia bisogna essere quello che non è appunto l’Italia: un Paese indipendente. E l’Italia non lo è, esattamente dal 1945, per un semplicissimo motivo che pare in parecchi ignorino: ha perso una guerra ed è stata occupata, tant’è vero che le basi americane sono sempre qua.
Quindi l’Italia non conta un tappo anche quando va “a votare” sulle guerre degli altri, unicamente per questi motivi, e sinceramente non ho ancora capito se coloro che giustamente s’indignano per la “sovranità limitata” evidenziatasi in vari passaggi della recente storia italiana questo l’hanno chiaro oppure no. Oppure fanno finta di non accorgersene. L’Italia fa l’ascaro dal 1945, e così è nel 2002, solo che oggi lo spacciano per “assunzione di responsabilità”.
Delle “spaccature” nell’Ulivo, delle “defezioni” nella maggioranza e della messa incinta della mamma dei “neocentristi”, francamente, credo che non solo non resterà traccia in alcun libro di Storia, ma che possano trarne beneficio coloro che vogliono compiere un atto di realismo e guardare in faccia la realtà: c’è un Paese, membro fondatore delle Nazioni Unite, con un governo legittimo, angariato e stremato da dodici anni di embargo, che ogni giorno che Dio manda in terra viene minacciato di annientamento dal governo del Paese più ricco e più armato che c’è. Uno scandalo inaudito.
Uno scandalo perché è in gioco un’istanza fondamentale, senza la quale né un individuo né una comunità né uno Stato possono concepire di vivere dignitosamente: l’INDIPENDENZA.
Ma l’unica preoccupazione delle camarille politiche italiane è quella di accreditarsi presso l’opinione pubblica di riferimento, ciascuna sfoggiando una consumata retorica ed esibendo cappellini e medagliette dal baule dei ricordi, i quali non servono a niente per fronteggiare le emergenze del 2002. Anzi, sono un ostacolo, un impiccio, una rottura di palle buona per mettere le persone una contro l’altra solo perché danno giudizi differenti su fatti di sessanta, settanta, ottant’anni fa, ma che sull’attualità del 2002 individuano un medesimo pericolo mortale per l’umanità: il progressivo dominio angloamericano del mondo.
Ma la “sinistra” oggi che fa? Dice che “solidarizzare” con le vittime irachene dell’embargo è un conto, ma che il governo iracheno deve essere tolto di mezzo perché è un “regime”, perché c’è un “dittatore” e via tergiversando, insomma che dopo la tempesta verrà il proverbiale sereno della “democrazia”.
Una posizione come questa, ci tengo a sottolinearlo, a “sinistra” è ben rappresentata, compresi quelli che non si ritengono certo filo-americani. “Filo-americani” almeno secondo il significato comunemente accettato, perché è in atto uno sfaldamento dei significati correnti delle parole; un fenomeno fisiologico, dato che le parole veicolano immagini e concetti, e che sono proprio quelli che oggi sono in piena ridefinizione.
Ciascun fautore della “globalizzazione democratica” è certo libero di pensarla come vuole, però mi dovrebbe dire come concretamente si possa scindere il popolo iracheno dal suo legittimo governo in un momento in cui si profila un’invasione. In una situazione di autentica emergenza.
Ecco perché in questi giorni anche chi a parole dice di essere contro questa guerra sta ritirando fuori la storia di “Saddam Hussein creatura degli Usa”: per lavarsene le mani alla Ponzio Pilato avallando la scusa che c’è la dittatura da spazzare via con il bombardamento terapeutico democratizzante; come è stato fatto con la Jugoslavia, demonizzata e scaricata dall’Ulivo intellettuale dei salotti e dei girotondi, e da quegli inguaribili utopisti dei fantomatici “mondi migliori”, da una “sinistra” voltagabbana che per anni l’aveva proposta (viene da pensare strumentalmente e senza crederci) come esempio di culla del progresso, e che ora stravede per tutti i Kharzai che gli angloamericani insediano dove vogliono.
No, con l’Iraq, nel momento del bisogno, ci si sta in blocco o non ci si sta, il resto sono solo distinzioni oziose. La vera tragedia è che non esiste una sinistra nazionale che abbia ben chiaro qual è il valore dell’indipendenza. Per questo la “sinistra” non si scandalizza quando è in gioco l’indipendenza altrui. Che cosa se ne farà l’Iraq dell’“esercito di partigiani della pace” lo sa solo Bertinotti.
Ho una modesta proposta da fare: perché la “sinistra” non si prende a simbolo un bel catino d’acqua?