"METODO", N. 21/2005

Sveva Flaminia Mazzini
(Cultrice di Assiriologia presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma)
L’ORRORE

fatti non foste a viver come bruti
Inf. XXVI, 119

Dove iniziare a narrare l’orrore, la repulsione, il ribrezzo?
Si potrebbero raccontare infiniti incontri, sempre uguali, di persone che escono assieme quattro o cinque volte al mese, e per questo si considerano amici. Si ascolterebbero allora racconti pieni di orrore: miserie quotidiane, spregevoli invidie, infime gelosie – nulla a che vedere con “il mostro dagli occhi verdi”, quello era sentimento potente, queste bassezze umane –; si udrebbero uomini e donne che non sanno nulla di se stessi né degli altri parlare per ore del niente, il vuoto assurto ad argomento di conversazione: le automobili, il vestito nuovo, la casa al mare, il denaro; si sentirebbero dileggiare persone che sono esattamente come loro, immersi però nell’illusione di essere diversi, di non aver passato la stessa miserabile vita nel nulla; si sentirebbero domande poste non per sete di conoscenza, ma solo per pettegola curiosità, si vedrebbero spuntare i loro artigli, a cercare di ghermire chi si vuole sciogliere da quell’abbraccio mortale. Si ascolterebbe paragonare libri e film e opere d’arte che non dovrebbero essere accostati nella stessa frase per comune decenza; – perché l’orrore è anche là, nel fatto che essi si ritengano superiori, che pensino di potere e di saper parlare di sogni nati dal genio degli uomini, quando del genio non hanno compreso nemmeno il nome, figurarsi l’animo.
Si proverebbe l’orrore di sentirsi rispondere con Independence Day alla domanda sulla pellicola preferita, e il disgusto assalirebbe chi, come noi, ha visto e amato Solaris, di Andrej Tarkovskij. Independence Day, Solaris... non vi è nulla in comune tra queste persone, tra queste vite, c’è un intero oceano di orrore a dividerle.
Si udrebbero poi queste stesse persone svilire e sprezzare la propria lingua, si coglierebbero i tanti “se avrei”, i “se vorrei”, i troppi “se sarei andato”; un forestiero, che ha imparato questa infinitamente varia lingua per amore, che ha passato anni a cercare di ricordare tutte le sue sfumature, proverebbe orrore ad ascoltare coloro che qui son nati, coloro che dovrebbero conservare come un bene prezioso le parole antiche, parlare con un vocabolario che si riduce a cento termini, ché gli altri cento che conoscono sono in una lingua straniera. E l’orrore risiede ancora qui, perché essi sono gli stessi che pensano di avere ‘cultura’, scambiando poche nozioni apprese in fretta per l’amore della conoscenza, esso sì vera fonte di sapere, e si ritengono quindi migliori; e però non sanno coniugare i verbi, non hanno ricordo degli aggettivi, non curano la varietà dei sostantivi, non vedono l’armonia della frase.
Si avrebbe orrore percependo una sera, una sera come tante, che si sono passati anni tra il nulla e il vuoto, che ci si è fatti ingannare da coloro che parlavano di niente, che si è ascoltato parole vuote e vane, perché ci avevano bendato gli occhi e chiuso gli orecchi, così che non avessimo la tentazione di guardare più in là, che non sentissimo il richiamo di un verbo a noi più affine; perché è anche qui l’orrore, coloro che non sanno e non vogliono che altri sappiano provano odio per chi è sfuggito alla rete, per chi si è salvato dall’orrore, per chi è arrivato in luoghi ove ha trovato nutrimento per la propria anima.
L’orrore di vederli considerar se stessi come i depositari della verità, quella verità che invece non hanno avuto il coraggio di guardare.
L’orrore dell’omologazione, della ‘normalità’ elevata a valore assoluto, del vuoto che ha insozzato il loro animo, che così non era: perché alcuni di essi in principio erano altro, avevano aspirazioni e desideri e voglia di conoscenza e domande da fare e risposte da chiedere. Ma hanno venduto la loro essenza per pochi denari e promesse non mantenute, hanno scambiato la loro mente con una lastra d’acciaio, hanno svuotato il loro animo della bellezza e l’hanno riempito con il nulla. Il loro animo! Pieno della melma nella quale si rivoltano felici, poiché non hanno coscienza che di fango si tratti, e se la percezione manca non ci si rende conto dell’orrore nel quale si è immersi, e si continua a sguazzare in esso.
Il disgusto per donne stupide, che hanno barattato il loro animo nato per essere eterno in cambio di pochi anni di finta gioventù, donne che non hanno mai amato se stesse, affannate a negare il loro essere femminile, cullandosi nell’illusione che ciò le avrebbe portate altrove rispetto alle loro madri e nonne, per ritrovarsi poi in un baratro di vergogne e umiliazioni. Donne che, vuote di cuore e di pensiero, si chiedono perché mai non vengano amate per il loro cervello – e cosa si dovrebbe amare di una mente che ha smesso di pensare, se mai l’ha fatto? e chi dovrebbe accorgersi della loro anima, se mai l’hanno avuta? Gli uomini? Quegli stessi che hanno promesso di non pensare?
L’orrore è qui, ancora, di nuovo, orrore di fronte a finti uomini che parlano di nulla, ne fanno motivo di dialogo, disgusto nel coglierli che guardano le donne passare, solo perché il mondo, e gli amici, non pensino a loro come a delle ‘checche’, ché questo, per essi, è “essere uomini”. L’orrore di vederli mentre scrutano fluire la vita, l’accidia che non permette loro di alzarsi e allungare la mano a toccarla, l’orrore di vedere la morte che è loro compagna, la morte dell’intelletto e dell’anima, la morte del pensiero.
L’orrore che prende noi di fronte a tutto questo, l’orrore che proviamo guardando al mondo, la consapevolezza che noi siamo altro, noi che dalle parole traiamo nutrimento e linfa, noi che non finiamo mai di stupirci e di domandare, noi che chiediamo a noi stessi di non cedere, noi che cerchiamo la verità, a qualunque costo, noi che ci riconosciamo uno con l’altro, noi che abbiamo animo colmo di grazia e beltà, perché non abbiamo mai permesso che fosse riempito col nulla, noi che lottiamo per non farci imprigionare, noi che così non siamo, noi che non siamo omologati, noi che non siamo stati catturati, noi che ci chiamiamo fuori e proviamo orrore.