Bibl.:«L’Arno», Pisa, VII (1994), N. 8 (17 settembre), p. 7

Giovanni Armillotta
UN POETA RINASCIMENTALE AMICO DI PISA: “IL PISTOIA”

Antonio Cammelli (1436-1502) – detto “il Pistoia” perché nato nell’omonima città – non è stato un grande poeta, tuttavia il noto critico letterario Erasmo Pèrcopo nel 1903 non esitava a dire che in lui «v’è qualcosa dei sovrani intelletti che dominarono l’Italia nostra nel Cinquecento, qualche cosa dell’Ariosto satirico e del Machiavelli politico», grazie alla schiettezza dei suoi giudizi, per la briosità e l’ironia sottile che infondeva nei suoi versi: i 533 Sonetti faceti, satirico-giocosi.
Ma “il Pistoia” non è soltanto un poeta giocoso. I suoi sonetti politici hanno una grande importanza: ci riportano alla fine del Quattrocento, descrivendoci gli avvenimenti che accadevano sullo scorcio del secolo. In queste brevi composizioni Cammelli rinuncia all’usuale tono burlesco e parla dell’Italia da patriota. Siamo al tempo di Alessandro VI, Ludovico il Moro, di Carlo VIII.
Il poeta impreca – a rischio anche di salire sul rogo – contro il grande Borgia che oltraggia il soglio di Pietro, maledice l’invasore francese, rimprovera agl’Italiani di aver lasciato libero il passo ai nemici, rinfaccia a Firenze l’uccisione del Savonarola.
Le composizioni che a noi pisani interessano maggiormente sono quelle che parlano dell’eroismo di Pisa nella guerra contro Firenze, quando questa – disceso Carlo VIII e chiusa la pace fra gli alleati – vuole impadronirsi della Città. Ma Pisa, gelosa della propria libertà, memore delle gesta gloriose, si ribella; e “il Pistoia” l’esorta a difendersi fino all’ultimo, prima di tornare sotto la schiavitù fiorentina:

fa’ di te stessa sacrificio al foco
e dì con tutti i tuoi: mora Sansone!
chi mor per la patria ha fama eterna

E i Pisani, piuttosto di arrendersi giurano di morire: sono soli e pochi contro il nemico; l’Italia è indifferente. La resistenza si protrae: gli atti di eroismo si susseguono. Anche una ragazza di sedici anni, Bona, si copre di gloria respingendo, ritta sulle mura, con la voce e con l’esempio, un manipolo nemico che va all’assalto. E i Fiorentini cedono: il 24 agosto 1499 si ritirano, dopo la sconfitta nella battaglia della Fortezza di Stampace. Il Pistoia, esultante, inneggia all’amata Pisa:

Fatta è la tua vendetta!

e schernisce i Fiorentini gridando loro:

Ritornate a Peretola, civette,
a vender le cipolle a centinai!

A volte il poeta usa parole vernacolari non immuni da longobardismi, si nota anche poca cura e qualche errore, ma quando la poesia è animata da nobili sentimenti e d è guidata da una «coscienza morale, che giudica e condanna il male, che vorrebbe migliorare gli uomini, dando battaglia ad ogni ingiustizia» (Pèrcopo), non ci sembra gran danno. Leggere i versi del “Pistoia” è un piacere per la loro giocondità, ed è un dovere per l’alto senso di pisanità che ancora una volta vediamo manifestato in cittadini non pisani. Egli parla di Pisa non come «vituperio delle genti», bensì patria di valorosi. E proprio questi versi ce lo indicano di spirito libero, e – in mezzo a molti letterati e poeti d’animo servile – gelosissimo della dignità italiana.

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© Giovanni Armillotta, 1998